Maria Corvese, Psicologa Psicoterapeuta Centro di Psicologia per l’adolescenza AUSL di Modena.
Per principio omeostatico, tutti i sistemi tendono all’equilibrio ed il cambiamento di uno degli elementi che lo compongono implica un cambiamento dell’intero sistema. Per sistema si può intendere anche la famiglia, come pure ogni individuo. L’individuo è quindi un sistema complesso inserito in altri sistemi complessi, alla ricerca di un equilibrio dinamico e non statico. All’interno dell’individuo, l’apparato psichico permette di pensare i pensieri, di sentire le emozioni e di percepire le sensazioni. Queste informazioni sono alla base dei comportamenti che attuiamo per raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti.
Ma cosa succede quando, all’interno del sistema “famiglia”, un genitore si ammala? Avviene un riassetto dei compiti tra gli altri “elementi” del sistema (fare la spesa, pagare le bollette, accompagnare dal medico il genitore…). Nelle famiglie monoparentali o prive di una rete di supporto, i figli svolgono una funzione importante per l’equilibrio della famiglia. E per loro, ragazzi adolescenti, è una situazione paradossale: assumono un ruolo fondamentale all’interno della famiglia, devono stare dentro la famiglia, quando invece il momento evolutivo che vivono, la costruzione di sé, di solito avviene al di fuori della famiglia. Questo costituisce un fattore di rischio per la loro crescita.
Cosa permette a questi ragazzi di “digerire” questa situazione? O in quali frangenti compaiono invece dei sintomi?
I giovani caregiver che arrivano al Centro di Psicologia Clinica per l’adolescenza (una sorta di ambulatorio mono-professionale aperto 18 ore a settimana che in un anno incontra circa un centinaio di ragazzi), che costituiscono circa il 10% dei ragazzi che si rivolgono al centro, hanno problemi di ansia: sono bravi ragazzi, studiosi, ragionevoli, non si lamentano della loro situazione, hanno un forte senso del dovere (buone risorse interne). Tutti esprimevano, attraverso il sintomo dell’ansia, il loro bisogno di “essere visti”.
La conoscenza della realtà dei giovani caregiver mi ha portato a chiedermi: nel Servizio Dipendenze Patologiche quanti dei miei pazienti hanno figli giovani che possono essere caregiver? Mi sono resa conto che molti di loro da piccoli sono stati caregiver, per lo più ragazzi esposti a situazioni molto traumatiche (genitori psichiatrici o dipendenti da sostanze o con gravi malattie), in una situazione di mancanza di figure che potessero svolgere le funzioni genitoriali. In questa situazione, priva di controlli e limiti, hanno trovato supporto nel gruppo dei pari esponendosi all’uso di droghe e trovando in esse un immediato sollievo al loro disagio. Da qui l’inizio della dipendenza. Alcuni di loro, però ne sono usciti, sviluppando grandi capacità di resilienza.
Quali sono le risorse per svilupparla?
– risorse interne, individuali (caratteristiche personali sviluppate prima della malattia del genitore: senso di autostima, autoefficacia, creatività, autoironia, sguardo positivo sulle cose)
– risorse esterne (un “tutore di resilienza”, un adulto che dia un reale conforto e appoggio morale e materiale, e che risponda al bisogno dell’adolescente di “essere visto” per poter guardare positivamente al futuro).
Patrizia Mondin, Direttrice ER.GO Azienda Regionale per il Diritto agli Studi Superiori
Er.Go è l’Azienda Regionale per il Diritto agli Studi Superiori dell’Emilia Romagna ed è stata istituita con legge regionale n. 15 del 27/07/2007. Offre servizi a studenti e neolaureati delle Università e degli Istituti dell’alta formazione artistica e musicale dell’Emilia -Romagna, studenti e neolaureati stranieri inseriti in programmi di mobilità internazionale e di ricerca, a ricercatori e professori provenienti da altre Università o istituti di ricerca italiani o stranieri.
Oltre ai 2950 studenti che quest’anno sono risultati idonei per le borse di studio, ER.GO gestisce anche vari studentati. Al loro interno vi sono studenti che presentano disabilità più o meno gravi: vengono supportati da servizi di accompagnamento, volontariato studentesco e spesso vengono ospitati insieme al fratello o alla sorella che si prende cura di loro. La nostra attenzione è inizialmente sul disabile ed i suoi bisogno ma poi emergono anche quelli del famigliare. Anche nelle relazioni amicali dello studentato cerchiamo di favorire occasioni affinché venga diminuito il peso della cura: la comunità di una residenza collettiva attenua il senso di fortissima responsabilità e presa in carico.
ER.GO è molto sensibile al tema dei giovani caregiver. Anche se le borse di studio si basano su reddito e merito, la Regione Emilia Romagna vede un’evoluzione del diritto allo studio nel cercare di dare maggiori opportunità a chi è in difficoltà attraverso la presa in carico di situazioni particolari. Andiamo a parlare nelle scuole poiché anche la fase di orientamento prima dell’università è importante: vogliamo contribuire a dare una prospettiva per il futuro “conoscere che ci sono delle opportunità è già un’opportunità”.
Diamo anche grande importanza al fare rete, mettendo insieme professionalità ed interessi diversi al fine di creare possibilità.
Se c’è interesse e se si ritiene che ciò che ER.GO offra sia utile, contattateci, siamo noi che verremo da voi!
Tutte le ricerche ci dicono che, per i giovani caregiver, l’accesso all’università sia una delle maggiori difficoltà e questo aspetto è importante perchè ha a che fare con il progettare al meglio la propria vita futura. Quindi l’attenzione di ER.GO al tema è fondamentale.
Ancora prima dell’università, però, è la scuola l’ambito in cui possiamo trovare i giovani caregiver ed in cui questi ragazzi possono incontrare grandi difficoltà (mancanza di tempo per svolgere i compiti, ritardi, troppe assenze, sonno, fino ad arrivare all’abbandono scolastico..). Ora parliamo quindi dell’esperienza di due scuole, il Nazareno di Carpi e il Versari Macrelli di Cesena.
Cristina Bertolla, Coordinatrice Educativa CFP Nazareno-Carpi
Il lavoro fatto insieme ad Anziani e non solo è stato su due livelli:
– la sensibilizzazione rivolta ad insegnanti ed educatori, che ci ha aiutato non solo a conoscere meglio il fenomeno ma a metterci in discussione rispetto alla nostre modalità di rapporto con i giovani, in particolare le nostre capacità di ascolto e accoglienza;
– i laboratori con i gruppi classe, per aiutare i caregiver nell’autoidentificazione e per favorire un maggiore supporto da parte del gruppo dei pari.
Faccio un breve cenno alla storia del Nazareno parlandovi del suo fondatore, Don Ivo che ha creato l’istituto nel dopoguerra, un momento di grande povertà materiale e culturale, dando la vocazione di base della scuola: la particolare attenzione al disagio. L’obiettivo della scuola è quello di fornire in breve tempo (al massimo 3 anni) nozioni e strumenti di base da poter utilizzare nel mondo del lavoro. I ragazzi che arrivano al nostro istituto solitamente presentano un disagio socio-economico e ne portano i segni, segni che però non necessariamente li definiscono, tanto che spesso durante il percorso si assiste ad un riscatto personale. Nella primavera del 2013 quando Licia mi ha parlato per la prima volta dei giovani caregiver e mi ha proposto di collaborare al progetto sui giovani caregiver ho iniziato a pensare che forse, dietro tanti casi di ragazzi svogliati, si possa nascondere un peso. Senza saperlo io ed i miei colleghi iniziavamo a guardarli con occhi diversi, anzi iniziavamo a guardarli, dandogli quindi dignità. Se noi per primi, che svolgiamo una funzione educativa, non ce ne accorgiamo, chissà quando la società se ne può accorgere. Vi presento alcuni casi :
Paolo: ragazzo con una mamma alcolizzata, spesso Paolo doveva metterla a letto, raccogliere il vomito e non di rado veniva picchiato.
Lara: ragazza rumena che viveva in una famiglia monoparentale. La mamma faceva la badante e quando si ammalava Lara andava a lavorare al suo posto. Lara ha anche una sorella maggiore tossicodipendente che spesso tornava a casa in crisi di astinenza. Lara aveva iniziato a dimagrire vistosamente, arrivava a scuola in ritardo ed era sempre stanca in quanto la notte non riusciva a dormire. Lara aveva deciso di ritirarsi da scuola, quello che abbiamo fatto è stato regalarle non solo degli spazi di ascolto, ma anche la possibilità di usufruire di un’aula in cui potersi riposare nelle giornate in cui era particolarmente stanca.
Gabriele: maggiore di 3 fratelli. In seguito ad un incidente sul lavoro il padre è rimasto completamente paralizzato, la madre ha quindi iniziato ad occuparsi costantemente di lui ed a Gabriele spettava la cura dei suoi fratelli più piccoli. Il ragazzo ha iniziato a manifestare lo stress anche attraverso eruzioni cutanee.
Con in mente il presupposto che, se non so chi sono e quali sono i bisogni specifici dei giovani caregiver, non li posso davvero aiutare, con Licia abbiamo ipotizzato un “piano di battaglia”:
– sensibilizzazione dei docenti e degli educatori;
– laboratori di autoidentificazione, che hanno avuto anche il risultato di far diventare i ragazzi molto solidali tra loro (no fenomeni di bullismo);
– questionario (MACA) che a partire dall’anno scolastico 2016/2017 è stato introdotto a sistema. Dall’analisi dei questionari somministrati è emerso che il 21% dei ragazzi (in base al nostro campione 13 soggetti) svolge un ruolo di cura ad alta intensità.
Per concludere, vorrei dire che è importante:
– impegnarsi per evitare che i giovani caregiver si sentano i soli portatori del loro peso
– che i giovani caregiver capiscano che possono chiedere aiuto
– (rivolto ai formatori) conoscere chi si ha di fronte per creare relazioni profonde, senso primo dell’educazione.
Il lavoro svolto con il Nazareno ha avuto come punto di forza il fatto di lavorare sia con i docenti/educatori che con i gruppi classe.
Alessandra Prati, Insegnante presso l’Istituto Versari Macrelli (Cesena) distaccata presso l’Ufficio Scolastico di Forli Cesena
Il concorso fotografico organizzato al Versari Macrelli: le foto fatte dai giovani caregiver. Dietro ad ogni foto c’è un nome, una storia, caratteri e contesti socio-culturali diversi.
Attraverso queste bellissime foto i giovani caregiver ci mostrano la loro visione del prendersi cura di un loro caro, il loro mondo ovattato, non perché protegge ma perché stordisce.
Sono ragazzi che hanno grandi doti, sono ottimisti, fiduciosi, hanno la capacità di fare sacrifici, cosa che spesso viene rinfacciata ai loro coetanei, e vogliono combattere.
Sono silenziosi, discreti, non parlano della loro situazione, ecco perché li chiamo “i ragazzi in punta di piedi”. Anzi, attenzione a chi invece sbandiera a parla a gran voce della propria situazione di difficolta, i veri caregiver sono riservati.
Non vogliono più diritti degli altri, vogliono essere come gli altri.
Parlo di “scuola incubatrice” perché la scuola ha proprio questo compito, come l’incubatore con il neonato: inizialmente lo fa sopravvivere e poi lo aiuta a crescere prima, perché i giovani caregiver crescono prima degli altri ragazzi.
Il primo merito del progetto EPYC è stato il farci riconoscere i caregiver. Non sappiamo ancora dove ci porterà e quali saranno i suoi esiti. Grazie a questo progetto è stato costituita una commissione di 6 docenti che si occupa in modo specifico del tema dei caregiver: sensibilizzazione degli insegnanti (il 13 dicembre abbiamo organizzato a scuola la Giornata del Caregiver durante la quale sono stati distribuiti volantini per spiegare e fare capire chi sono i caregiver) e dei compagni di classe, lavoro di autoriconoscimento dei giovani caregiver stessi. La commissione è un punto di riferimento sia per i giovani caregiver della nostra scuola, un luogo dove si possono raccontare, sia per i loro genitori.
Queste esperienze ci stanno dando molto, una forma di socializzazione invertita: una giovane caregiver mi ha insegnato come comportarmi col mio bimbo di 6 anni. Si può parlare anche di intelligenza etica (portare valori) e disciplinare.
Per ultimo, vi vorrei descrivere cosa stiamo facendo a livello di piano didattico personalizzato (inserito nel POF). Il Decreto del 27/12/2012 tratta dei BES, i Bisogni Educativi Speciali, includendo la disabilità, i disturbi d’apprendimento, i bisogni degli studenti stranieri o di ragazzi che si trovano in condizioni socio-culturali svantaggiate, quindi noi abbiamo pensato di inserire qui i caregiver. In questo modo, anche loro, possono usufruire di interrogazioni programmate, obiettivi minimi, omissioni di parti del programma, l’affiancamento di un tutor, derogare al netto delle assenze.
Quello che stiamo cercando di fare è entrare nella storia del ragazzo e dirgli “mi prendo cura di te”, essere per loro quel punto di riferimento che a casa manca.
Verrà ora presentata un’ulteriore esperienza che riguarda l’ambito extrascolastico e che si è realizzata attraverso una formazione con operatori e laboratori con i ragazzi.
Giorgia Silvestri, Coordinamento organizzativo minori Cooperativa Sociale Aliante.
Progetto ITINERA, un progetto educativo ad alta intensità (semi residenziale).
VIDEO: le interviste agli educatori e giovani caregiver che hanno partecipato alle attività formative organizzate da Anziani e non solo sul tema dei caregiver (rivolto agli operatori) e sullo sviluppo di alcune competenze trasversali quali la gestione dello stress, del conflitto e della rabbia (giovani caregiver).
Il contributo appena presentato ci mostra ciò che può fare un servizio che si occupa di adolescenti per inforcare gli occhiali e vedere i giovani caregiver. Apriamo ora il dibattito.
Viene posta una prima domanda alla Dr.ssa Corvese: “Il Centro di Psicologia per l’Adolescenza accoglie anche soggetti non residenti in regione?”
La Dott.ssa Corvese risponde :”No, sono state fatte eccezioni per ragazzi residenti a Reggio Emilia, ma mai fuori regione. L’intervento dovrebbe avvenire per step: in primis appoggio da parte di educatori e insegnanti; poi interventi sperimentali, ad esempio quelli che sono stati fatti sulla gestione dello stress e conflitto che non hanno un fine primariamente psicologico e che sfruttano il gruppo come risorsa, e solo successivamente, se necessario, l’eventuale intervento dello psicologo.” Anche Licia Boccaletti concorda nel mobilitare, in prima istanza, le risorse disponibili sul territorio.
Prende poi la parola la mamma di un ragazzo autistico di 17 anni che lamenta il fatto che docenti ed educatori siano poco sensibili al tema. Racconta un’esperienza personale: docenti che si lamentavano dei comportamenti problematici del figlio. Si dice lieta del fatto che si inizi a parlare di questa tematica, e del fatto che i giovani possano trovare uno spazio per parlare e far conoscere la loro realtà. Licia Boccaletti commenta che questa è la strada che si sta cercando di percorrere.
Intervento di una psicologa che lavora presso il Centro Disturbi Cognitivi. Racconta che nella sua esperienza professionale le capita di incontrare pazienti con demenza ad esordio sempre più precoce e che possono avere figli in età adolescenziale. Attraverso i colloqui con i famigliari succede che emerga il fatto che anche i figli adolescenti o preadolescenti sono coinvolti nell’attività di cura del genitore. In questi casi, è fondamentale accogliere questi ragazzi, accogliere il loro dolore per la figura genitoriale che cambia e fornire loro nozioni su come mantenere viva una comunicazione con il genitore ammalato (sfruttare ad esempio il canale affettivo, l’aspetto non verbale che tende a mantenersi più a lungo..).
Maura Forni, Servizio di Coordinamento politiche sociali e politiche educative Regione Emilia Romagna
Più che conclusioni, i miei sono degli spunti, delle riflessioni di pancia.
Inizio riprendendo una frase del sindaco “stiamo parlando del futuro”, poiché stiamo parlando di giovani e poiché la piramide demografica ormai è diventata piuttosto un pino marittimo con la base, composta dalla popolazione più giovane che deve reggere tutta la chioma dell’albero.
Poi volevo sottolineare la generosità che vi caratterizza, nel lavoro che fate per questi ragazzi, nella condivisione e creazione di un movimento di pensiero.
I giovani caregiver vanno protetti. Vanno sostenuti e valorizzati, affinché la loro esperienza di cura sia come una cicatrice sotto cui cresce una pelle più robusta e non come una vecchia ferita che fa male quando cambia il tempo: questo è il nostro margine d’azione.
Che ruolo ha la responsabilità sui giovani caregiver? che vissuti produce? Quando suscita orgoglio e quando vergogna? Penso alla bimbe cinesi che si occupano dei loro fratellini, e vivono questa situazione quasi con orgoglio, spesso invece i giovani caregiver si vergognano. La nostra capacità di accogliere senza giudizio queste situazioni li può aiutare a non vergognarsi e vivere meglio la loro situazione di difficoltà. Teniamo presente che la scuola così come i servizi non sostituiscono il mondo, l’handicap è un problema sia privato che sociale e finchè non siamo in grado di coniugare queste due parti sbagliamo.
Per dare gambe a quanto abbiamo sentito oggi e non creare fratture tra le varie iniziative, c’è la legge regionale. E voi siete “il punto di cova”, per la fiducia, per il calore, e oggi ne abbiamo sentito tanto, e anche per la leggerezza, perché se sei troppo pesante rischi di schiacciare l’uovo. E quindi si tratta di “covare” la legge e le linee guida, finchè non si arriva ai piani di zona. Ecco il lavoro da fare dall’estate in poi.
Ecco il mio APPELLO: il caregiving è un importante tema trasversale che implica una capacità di cura reciproca, prepariamoci per i piani di zona che ci sono in autunno.