Relazione finale del Convegno “ESSERE LAVORATORI E CAREGIVER: NUOVE OPPORTUNITA’ DI SOSTEGNO ALL’INTEGRAZIONE DEL WELFARE TERRITORIALE CON QUELLO AZIENDALE” (Carpi, 13 Maggio 2017)
Gli interventi di Kyriakoula Petropulacos e Loredana Ligabue sono disponibili solo nella versione video e possono essere ascoltate nella registrazione del convegno disponibile a fondo paginaSaluto: On. Patriarca
Carissimi, la concomitanza con il festival nazionale del volontariato di Lucca che si tiene in questi giorni e che presiedo mi impedisce di essere con voi.
Me ne rammarico ma non posso fare altrimenti.
Le iniziative promosse dal Caregiver Day , a Carpi e in Emilia Romagna, sono ormai un appuntamento culturale e politico di valore per tutti coloro, famiglie, istituzioni, terzo settore, che operano a vario titolo nella cura, nell’aiuto, nel sostegno delle persone care.
Questo passaggio, presente nella legge che abbiamo costruito insieme, oggi al Senato a prima firma del collega Angioni, mi è molto caro.
Sono parole troppo spesso ricondotte alla sola dimensione privata e che da oggi, se la legge verrà approvata, rientreranno a pieno titolo nella dimensione pubblica che finalmente riconosce una attività meritevole, con un elevato contenuto etico, una attività da sostenere.
Se oggi si parla così diffusamente di questa problematica il merito va ad Anziani non solo, a Carer, all’Unione dei nostri Comuni dell’Unione Terre d’Argine e alla Regione Emilia Romagna(che prima fra tutte ha adottato una legge sui Caregiver familiari) e alle iniziative promosse da anni dal Caregiver Day sul nostro territorio. Iniziative che hanno svelato una realtà conosciuta ma mai studiata, o rilevata dalle ricerche, o narrata nei convegni.
Più di 3 milioni sono stimate essere le persone che si dedicano alla cura e al sostegno dei propri cari.
A queste persone dobbiamo tanto e dobbiamo dare una risposta come istituzioni.
È un cambio di prospettiva coraggioso: non garantire solo i diritti delle persone in difficoltà, ma anche delle persone che le sostengono nella loro vita quotidiana. La legge che proponiamo è un testo che compie passaggi di grande valore: definisce il Caregiver e riconosce la sua attività, la rende “pubblica” inserendola nella programmazione dei servizi sociali e sanitari del territorio: formazione, accompagnamento, attività di sollievo, sostegno nei momenti di emergenze…. Riconosce le competenze e le abilità acquisite nel servizio di cura utili nel rientro al lavoro, promuove una maggiore conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare. Riconosce una detrazione fiscale per le spese sostenute nella attività di cura e forme di agevolazioni per la stipula di assicurazioni dedicate.
La legge è al Senato, mi auguro venga presto approvata, mi auguro venga sostenuta con un approccio che io chiamo realistico: non è la legge che risolverà damblè tutti i problemi, ma è una legge che se approvata apre finalmente un percorso che poi chiederà nei passaggi successivi di essere approfondito, potenziato nei prossimi anni. I tempi della legislatura sono brevi ma per parte mia, con il vostro aiuto ci proveremo fino all’ultimo giorno di questa legislatura.
Oggi il convegno che vi accingete a fare rappresenta un rilevante contributo di approfondimento di bisogni dei caregiver lavoratori e di messa in campo dell’importante impegno delle parti sociali .
Il welfare aziendale, inserito in una azione inclusiva e sussidiaria rispetto al welfare territoriale, rappresenta un importante passo per sostenere la conciliazione tra lavoro e cura.
Grazie di cuore per ciò che state facendo, buon lavoro, e sinceramente dispiaciuto per la forzata assenza
Me ne rammarico ma non posso fare altrimenti.
Le iniziative promosse dal Caregiver Day , a Carpi e in Emilia Romagna, sono ormai un appuntamento culturale e politico di valore per tutti coloro, famiglie, istituzioni, terzo settore, che operano a vario titolo nella cura, nell’aiuto, nel sostegno delle persone care.
Questo passaggio, presente nella legge che abbiamo costruito insieme, oggi al Senato a prima firma del collega Angioni, mi è molto caro.
Sono parole troppo spesso ricondotte alla sola dimensione privata e che da oggi, se la legge verrà approvata, rientreranno a pieno titolo nella dimensione pubblica che finalmente riconosce una attività meritevole, con un elevato contenuto etico, una attività da sostenere.
Se oggi si parla così diffusamente di questa problematica il merito va ad Anziani non solo, a Carer, all’Unione dei nostri Comuni dell’Unione Terre d’Argine e alla Regione Emilia Romagna(che prima fra tutte ha adottato una legge sui Caregiver familiari) e alle iniziative promosse da anni dal Caregiver Day sul nostro territorio. Iniziative che hanno svelato una realtà conosciuta ma mai studiata, o rilevata dalle ricerche, o narrata nei convegni.
Più di 3 milioni sono stimate essere le persone che si dedicano alla cura e al sostegno dei propri cari.
A queste persone dobbiamo tanto e dobbiamo dare una risposta come istituzioni.
È un cambio di prospettiva coraggioso: non garantire solo i diritti delle persone in difficoltà, ma anche delle persone che le sostengono nella loro vita quotidiana. La legge che proponiamo è un testo che compie passaggi di grande valore: definisce il Caregiver e riconosce la sua attività, la rende “pubblica” inserendola nella programmazione dei servizi sociali e sanitari del territorio: formazione, accompagnamento, attività di sollievo, sostegno nei momenti di emergenze…. Riconosce le competenze e le abilità acquisite nel servizio di cura utili nel rientro al lavoro, promuove una maggiore conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare. Riconosce una detrazione fiscale per le spese sostenute nella attività di cura e forme di agevolazioni per la stipula di assicurazioni dedicate.
La legge è al Senato, mi auguro venga presto approvata, mi auguro venga sostenuta con un approccio che io chiamo realistico: non è la legge che risolverà damblè tutti i problemi, ma è una legge che se approvata apre finalmente un percorso che poi chiederà nei passaggi successivi di essere approfondito, potenziato nei prossimi anni. I tempi della legislatura sono brevi ma per parte mia, con il vostro aiuto ci proveremo fino all’ultimo giorno di questa legislatura.
Oggi il convegno che vi accingete a fare rappresenta un rilevante contributo di approfondimento di bisogni dei caregiver lavoratori e di messa in campo dell’importante impegno delle parti sociali .
Il welfare aziendale, inserito in una azione inclusiva e sussidiaria rispetto al welfare territoriale, rappresenta un importante passo per sostenere la conciliazione tra lavoro e cura.
Grazie di cuore per ciò che state facendo, buon lavoro, e sinceramente dispiaciuto per la forzata assenza
Federico Boccaletti Presidente Anziani e non solo
La legge di stabilità del 2016, poi riconfermata nel 2017 ha aperto nuovi orizzonti al welfare aziendale che, per molti anni, è rimasto una leva di politica aziendale, soprattutto per le grandi, medio-grandi imprese, ma che non aveva avuto fino a questo punto tutti gli elementi per diffondersi.a livello territopriale.
La ricerca pubblicata una decina di giorni fa dal Sole24Ore evidenzia un dato molto importante: il 20% di tutti i nuovi contratti registrati al Ministero nell’ultimo anno hanno al loro interno elementi collegati al welfare aziendale. Certamente non possiamo nascondere che elementi di vantaggio economico collegati all’abbattimento della fiscalità abbiano stimolato questo percorso.
La ricerca porta dati non solo quantitativi ma anche qualitativi: fra tutti i contenuti di welfare presenti in questi contratti ci sono 3 tipologie che crescono, mentre gli altri rimangono invariati: gli elementi di conciliazione, i servizi di assistenza alle persone non autosufficienti, le attività di connessione tra welfare aziendale e welfare territoriale. Questo ci dice che sono queste le linee su cui nelle singole aziende, nelle associazioni, nei territori ci si inizia ad interrogare.
Abbiamo chiesto ai rappresentanti di due importanti realtà produttive del nostro territorio regionale che hanno sviluppato accordi di welfare aziendale, di venire oggi e presentare le loro esperienze.
La ricerca pubblicata una decina di giorni fa dal Sole24Ore evidenzia un dato molto importante: il 20% di tutti i nuovi contratti registrati al Ministero nell’ultimo anno hanno al loro interno elementi collegati al welfare aziendale. Certamente non possiamo nascondere che elementi di vantaggio economico collegati all’abbattimento della fiscalità abbiano stimolato questo percorso.
La ricerca porta dati non solo quantitativi ma anche qualitativi: fra tutti i contenuti di welfare presenti in questi contratti ci sono 3 tipologie che crescono, mentre gli altri rimangono invariati: gli elementi di conciliazione, i servizi di assistenza alle persone non autosufficienti, le attività di connessione tra welfare aziendale e welfare territoriale. Questo ci dice che sono queste le linee su cui nelle singole aziende, nelle associazioni, nei territori ci si inizia ad interrogare.
Abbiamo chiesto ai rappresentanti di due importanti realtà produttive del nostro territorio regionale che hanno sviluppato accordi di welfare aziendale, di venire oggi e presentare le loro esperienze.
Giuseppe Toninelli, Area Risorse Umane Gruppo La Perla
Ho potuto toccare con mano cosa significa prendersi cura di una persona cara. Caregiver è per me la solidarietà, l’affetto, la generosità che viene offerta a persone che non sono in grado di sostenersi da sole. E prendersi cura di un caregiver è una necessità, significa diffondere la cultura della generosità di cui tutti abbiamo bisogno. Alcuni politici dicono che bisogna andare a cercarsi il lavoro dove ce n’è, ma questo vale per chi non ha vincoli affettivi forti, per gli altri non è così. Io credo che occorra offrire ogni sostegno alle persone che si prendono cura di altre. Parlare anche di illicenziabilità per un certo periodo è così vergognoso? Perché non si può ragionare anche su questo? Lo sappiamo bene, spesso un’azienda è guidata da una cultura che si basa sull’efficienza, sulla produttività, ma che si dimentica dei dati che sono umani e senza i quali una società non può andare avanti. La cultura di coloro che si prendono cura degli altri, l’ho detto, è una cultura della generosità e di affetto, di cui abbiamo tutti bisogno perché se non lo siamo ancora stati, come si diceva prima, saremo prima o poi tutti caregiver. La mia azienda ha fatto un accordo sul welfare dopo tanti anni e cercheremo di riempirlo e allora un impegno che nel mio piccolo vorrei prendermi è questo: cercare di attuare esperienze anche già fatte, come il tema delle ferie: ci sono dirigenti e tante persone che hanno ferie in più, è vero che fanno fatica a farle per l’attività frenetica presente in azienda, ma l’idea è di metterle insieme, provare a costituire un bacino di queste ferie da mettere a disposizione di chi ne ha bisogno, per portare avanti la loro attività di cura.
Andrea Cavassi, Responsabile del Personale Gruppo CAVIRO
Abbiamo inserito il welfare aziendale all’interno di un accordo di secondo livello. A fine 2015 il nostro contratto è andato in scadenza e sono iniziate le trattative con le parti sindacali nello stesso periodo in cui è uscita la legge sulla stabilità 2016 dove erano presenti alcune indicazioni importanti: “come welfare aziendale sono indicate le azioni finalizzate e a disposizione dei lavoratori e dei loro famigliari, prestazioni di servizi non opinabili con lo scopo di migliorare l’immagine aziendale, l’appartenenza aziendale, il clima e il benessere del lavoratore”. Questa frase ha iniziato a farci riflettere su come portarla nell’accordo di secondo livello. Inoltre la legge permetteva ai lavoratori, se in azienda esistevano già accordi di secondo livello, di farsi erogare il premio aziendale sotto forma di rimborso spese. Questi premi potevano essere pagati se il dipendente li richiedeva per sé o per la famiglia, esenti da contributi e da tasse. Abbiamo quindi iniziato un percorso di trattativa coi sindacati e dopo mesi ci siamo riusciti: inizialmente i sindacati non erano convinti poichè credevano che noi volessimo trasformare le loro richieste retributive in un aumento fatto coi soldi dei lavoratori. Abbiamo quindi inserito all’interno del nostro premio una voce che dice che è facoltà del lavoratore scegliere l’erogazione del premio sotto forma di rimborso spese. Inizialmente questa possibilità non è stata capita neppure dai miei colleghi che temevano di rimetterci di pensione, mentre il premio di primo e secondo livello è depositato e quindi non incide su nessun istituto contrattuale, non incide sul TFR. Proiezioni di calcolo hanno fatto capire che 1000€ di premio erogati in un anno incidono di 1-2 € su una pensione che si prenderà tra 30 anni, quindi nel medio e lungo periodo non c’è alcun danno, ma c’è un riscontro immediato di una cifra di denaro che praticamente si raddoppia per poter affrontare delle spese necessarie. Abbiamo inserito una lista di voci per cui il lavoratore ci chiede l’erogazione del premio ( che avviene solo l’anno successivo), al lavoratore viene richiesta un’autodichiarazione unita alle pezze giustificative, dove sono indicate tutte le spese di cui richiede il rimborso sotto forma di welfare.
Pagare il premio aziendale sotto forma di welfare può portare anche a benefici monetari. Oltre all’immediato riscontro perché un premio lordo diventa di fatto netto e il lavoratore lo percepisce per intero, ci sono anche altri benefici: per gli assegni famigliari (abbassandosi l’imponibile, il lavoratore può avere assegni familiari più elevati); il lavoratore può entrare in quella fascia – non per tutti – di beneficio del bonus Renzi (eccetto se rimane il decreto sul 10%); per il reddito ISEE e le detrazioni fiscali.
Come obiettivo nel medio termine ci siamo posti quello di raccogliere tutto quello che può integrare il welfare aziendale, ma bisogna capire cosa può essere inserito e cosa no. Stanno nascendo tante piattaforme che stanno inserendo servizi sanitari, polizze assicurative, pensioni integrative. Bisogna convincere non solo i datori di lavoro, ma anche la controparte, come le organizzazioni sindacali.
Poi, sempre a medio termine, c’è il tema dell’organizzazione del lavoro, cosa significherà negli anni a venire. Le 104 sono sempre in aumento: una volta la 104 era a giorni ora può essere gestita a ore, ma questo ha un evidente impatto sull’organizzazione. E quindi cosa significa per l’organizzazione del lavoro gestire 104, assenze, aspettative, 104 straordinarie, ma non solo, anche la trasformazione di rapporti di lavoro da tempo determinato e tempo indeterminato, da part time a full time, l’età pensionabile che si allunga e quindi gli investimenti che l’azienda andrà a fare negli anni a venire devono tenere conti di questi elementi.
Pagare il premio aziendale sotto forma di welfare può portare anche a benefici monetari. Oltre all’immediato riscontro perché un premio lordo diventa di fatto netto e il lavoratore lo percepisce per intero, ci sono anche altri benefici: per gli assegni famigliari (abbassandosi l’imponibile, il lavoratore può avere assegni familiari più elevati); il lavoratore può entrare in quella fascia – non per tutti – di beneficio del bonus Renzi (eccetto se rimane il decreto sul 10%); per il reddito ISEE e le detrazioni fiscali.
Come obiettivo nel medio termine ci siamo posti quello di raccogliere tutto quello che può integrare il welfare aziendale, ma bisogna capire cosa può essere inserito e cosa no. Stanno nascendo tante piattaforme che stanno inserendo servizi sanitari, polizze assicurative, pensioni integrative. Bisogna convincere non solo i datori di lavoro, ma anche la controparte, come le organizzazioni sindacali.
Poi, sempre a medio termine, c’è il tema dell’organizzazione del lavoro, cosa significherà negli anni a venire. Le 104 sono sempre in aumento: una volta la 104 era a giorni ora può essere gestita a ore, ma questo ha un evidente impatto sull’organizzazione. E quindi cosa significa per l’organizzazione del lavoro gestire 104, assenze, aspettative, 104 straordinarie, ma non solo, anche la trasformazione di rapporti di lavoro da tempo determinato e tempo indeterminato, da part time a full time, l’età pensionabile che si allunga e quindi gli investimenti che l’azienda andrà a fare negli anni a venire devono tenere conti di questi elementi.
Maria Graziano - Caregiver
Mi occupo di mio padre, con mia madre, mia sorella e nipote. Grazie a mia madre, noi tre possiamo andare a lavorare. E’ difficile, ma essere caregiver ti tempra, ti rende forte, ti fa superare tutto, ti fa raggiungere obiettivi impensabili. Il corso di caregiver, avere amici caregiver, che capiscono la tua situazione e ti rendono sempre più forte. E’ strano ma avere periodi intensi di stress, e sapere di poterli superare, ti rende più forte, migliore anche sul lavoro. Le aziende guardano agli obiettivi, ai costi, al fatturato da raggiungere, ma penso che insieme possiamo farcela. Credo che le istituzioni debbano intervenire, non attendere, intervenire ora. Così le aziende saranno maggiormente interessate. Il mondo del caregiver sembra essere chiuso in una bolla, ma quando ci entri capisci, quelli che sono fuori sembra che vogliano parlare solo di cose belle, eppure è la vita: siamo destinati ad invecchiare, tutti. Insieme a mia madre, mia sorella, mia nipote andiamo per uffici a cercare di ottenere qualche cosa per dare sollievo alla persona che è a casa. Sono stata fortunata, negli uffici pubblici ho trovato delle belle persone, ma c’è la burocrazia e per la burocrazia serve tanto tempo mentre un caregiver di tempo ne ha poco, perché lo divide tra il lavoro, la famiglia e perché no, qualcosa anche per sé stesso.
Care istituzioni, e dico apposta “care”, muovetevi ora perché domani sarà già troppo tardi.
Care istituzioni, e dico apposta “care”, muovetevi ora perché domani sarà già troppo tardi.
Tavola rotonda
Tamara Calzolari, Segreteria Confederale Cgil Modena
ingrazio per l’invito. Ho trovato molto interessante la testimonianza iniziale con cui è iniziata la giornata perché ci mostra il quadro della realtà, quelle forti tensioni a cui sono sottoposti i lavoratori che sono anche caregiver. Anch’io nella mia esperienza personale, anche se non sono stata io direttamente caregiver, attraverso i miei genitori ho vissuto una esperienza simile, quindi capisco bene e vedo, insieme a tutti i lavoratori che vengono presso i sindacati, le difficoltà che attraversano. Il sindacato si è chiesto spesso come può essere di supporto in questi casi. Quindi la contrattazione sulla flessibilità degli orari, la possibilità di contrattare dei servizi a sostegno, con l’idea di non lasciare solo il caregiver. Il caregiver dovrebbe essere sostenuto e non abbandonato. Spesso abbiamo la necessità di dare strumenti a persone che hanno bisogno di essere orientate, formate, sostenute per il lavoro di cura che fanno, non solo per le competenze ma anche economicamente. Ad esempio, il fatto di avere dato riconoscimento al lavoro di cura sul tavolo della previdenza prevendendo un anticipo pensionistico a chi si sta prendendo cura di un familiare non autosufficiente, ecco, questo è un riconoscimento ed è il frutto della contrattazione che il sindacato ha fatto sul tavolo della previdenza. Noi abbiamo visto un aumento esponenziale dei dati e delle difficoltà legate a questo tema, i numeri e le proiezioni statistiche hanno spaventato tutti quindi siamo sufficientemente pronti ad affrontare l’argomento. Qualche esperienza è stata fatta, ad esempio l’homecare premium, grazie al quale i dipendenti pubblici per alcuni anni hanno potuto beneficiare di contributi economici importanti per poter direttamente o indirettamente attivare progetti di assistenza, contributi per la badante o altri servizi pubblici per dare sollievo al lavoratore. Le due ultime leggi di bilancio hanno fortemente rilanciato il tema mettendo sul tavolo anche risorse importanti.
Questo tavolo si chiede se anche la contrattazione in termini di premi di risultato sotto forma di welfare sia un’opportunità per i caregiver. Sicuramente sì, però bisogna riflettere sulle condizioni che si vanno a costruire, in cui si fa questa contrattazione. Si diceva prima, si spacciano per welfare anche cose che non lo sono, come i buoni benzina che sono soltanto uno strumento per evadere le tasse. Diverso è invece dare strumenti che invece sostengono i familiari, come l’assistenza domiciliare e strumenti di cura.
Il secondo aspetto che dovremmo tenere in considerazione è il numero delle persone che effettivamente riusciamo a raggiungere. Il welfare aziendale e territoriale non può essere un beneficio elitario, riguardare solo i dipendenti delle grandi e medie imprese altrimenti rischiamo di creare due gruppi: i lavoratori tutelati e quelli esclusi da queste tutele. In un territorio come il nostro principalmente formato da piccole e medie imprese, artigiani, rischiamo di escludere moltissime persone. Abbiamo ragionato di fare accordi territoriali di secondo livello, che è la nostra modalità storica, che ci permette di dare una copertura alle piccole e medie imprese. Ma anche qui bisogna dire che non tutte le imprese hanno la contrattazione di secondo livello, i premi di risultato non vengono contrattati in tutte le aziende. Mediamente in Em. Rom. un 30% di tutte le aziende ha questo tipo di contrattazione. Noi quindi abbiamo bisogno di lavorare perché questa opportunità indicata dalla normativa diventi universale. Un buon modello potrebbe essere quello immaginato sul fondo integrativo sulla sanità: quel fondo prevede che ci sia la possibilità di erogare prestazioni extra LEA, oltre a quella che è l’assistenza data dal pubblico, in ambito odontoiatrico a quella fascia di popolazione attualmente molto fragile e scoperta, i giovani dai 5 ai 25 anni. Quali sono i vantaggi di un fondo di questa natura? Innanzitutto è un fondo aperto, sia per dipendenti di aziende che abbiano fatto la contrattazione di secondo livello, sia per singoli cittadini, e in secondo luogo le prestazioni non sono sostitutive ma integrative e questo aspetto non è trascurabile perché spesso il welfare aziendale è stato spesso visto come un alibi per tagliare la spesa pubblica. Un modello simile può essere replicato anche per quello che riguarda le prestazioni di carattere assistenziale per le persone non autosufficienti. Come sindacato, mi auguro che questa modalità possa partire in tempi rapidi.
Un secondo punto su cui bisogna ragionare riguarda il raccordo tra i servizi offerti – le modalità con cui si possono rendere disponibili attività di welfare aziendale- con i servizi pubblici, soprattutto in ambito sanitario ed assistenziale, perché una frammentazione esagerata delle piattaforme crea degli strumenti poco efficienti con costi di gestione elevati. Quindi è necessaria un’integrazione tra le offerte del welfare aziendale e la rete dei servizi pubblici in cui il caregiver deve poter trovare una molteplicità di risposte per potersi orientare ed essere sostenuto, a seconda delle sue specifiche necessità.
Quello che stiamo facendo come sindacati va in questa direzione, stiamo chiedendo alle istituzioni di farsi capofila di confrontarsi con le parti sociali, e di creare e guidare anche la contrattazione di secondo livello.
Io trovo che una modalità come quella che stiamo provando a costruire sia una possibilità importantissima. Vedo le risorse che possono arrivare dalla contrattazione aziendale secondo livello come risorse che vanno sfruttate in modo intelligente ed efficiente.
L’altra cosa che mi sento di sostenere è finalmente lo sblocco dei fondi previsti dal Job Act che erano previsti per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che invece purtroppo rimangono lì. Dopo la Legge 53, la famosa Legge Turco, noi abbiamo visto morire completamente i progetti di conciliazione per mancanza di risorse.
Questo tavolo si chiede se anche la contrattazione in termini di premi di risultato sotto forma di welfare sia un’opportunità per i caregiver. Sicuramente sì, però bisogna riflettere sulle condizioni che si vanno a costruire, in cui si fa questa contrattazione. Si diceva prima, si spacciano per welfare anche cose che non lo sono, come i buoni benzina che sono soltanto uno strumento per evadere le tasse. Diverso è invece dare strumenti che invece sostengono i familiari, come l’assistenza domiciliare e strumenti di cura.
Il secondo aspetto che dovremmo tenere in considerazione è il numero delle persone che effettivamente riusciamo a raggiungere. Il welfare aziendale e territoriale non può essere un beneficio elitario, riguardare solo i dipendenti delle grandi e medie imprese altrimenti rischiamo di creare due gruppi: i lavoratori tutelati e quelli esclusi da queste tutele. In un territorio come il nostro principalmente formato da piccole e medie imprese, artigiani, rischiamo di escludere moltissime persone. Abbiamo ragionato di fare accordi territoriali di secondo livello, che è la nostra modalità storica, che ci permette di dare una copertura alle piccole e medie imprese. Ma anche qui bisogna dire che non tutte le imprese hanno la contrattazione di secondo livello, i premi di risultato non vengono contrattati in tutte le aziende. Mediamente in Em. Rom. un 30% di tutte le aziende ha questo tipo di contrattazione. Noi quindi abbiamo bisogno di lavorare perché questa opportunità indicata dalla normativa diventi universale. Un buon modello potrebbe essere quello immaginato sul fondo integrativo sulla sanità: quel fondo prevede che ci sia la possibilità di erogare prestazioni extra LEA, oltre a quella che è l’assistenza data dal pubblico, in ambito odontoiatrico a quella fascia di popolazione attualmente molto fragile e scoperta, i giovani dai 5 ai 25 anni. Quali sono i vantaggi di un fondo di questa natura? Innanzitutto è un fondo aperto, sia per dipendenti di aziende che abbiano fatto la contrattazione di secondo livello, sia per singoli cittadini, e in secondo luogo le prestazioni non sono sostitutive ma integrative e questo aspetto non è trascurabile perché spesso il welfare aziendale è stato spesso visto come un alibi per tagliare la spesa pubblica. Un modello simile può essere replicato anche per quello che riguarda le prestazioni di carattere assistenziale per le persone non autosufficienti. Come sindacato, mi auguro che questa modalità possa partire in tempi rapidi.
Un secondo punto su cui bisogna ragionare riguarda il raccordo tra i servizi offerti – le modalità con cui si possono rendere disponibili attività di welfare aziendale- con i servizi pubblici, soprattutto in ambito sanitario ed assistenziale, perché una frammentazione esagerata delle piattaforme crea degli strumenti poco efficienti con costi di gestione elevati. Quindi è necessaria un’integrazione tra le offerte del welfare aziendale e la rete dei servizi pubblici in cui il caregiver deve poter trovare una molteplicità di risposte per potersi orientare ed essere sostenuto, a seconda delle sue specifiche necessità.
Quello che stiamo facendo come sindacati va in questa direzione, stiamo chiedendo alle istituzioni di farsi capofila di confrontarsi con le parti sociali, e di creare e guidare anche la contrattazione di secondo livello.
Io trovo che una modalità come quella che stiamo provando a costruire sia una possibilità importantissima. Vedo le risorse che possono arrivare dalla contrattazione aziendale secondo livello come risorse che vanno sfruttate in modo intelligente ed efficiente.
L’altra cosa che mi sento di sostenere è finalmente lo sblocco dei fondi previsti dal Job Act che erano previsti per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che invece purtroppo rimangono lì. Dopo la Legge 53, la famosa Legge Turco, noi abbiamo visto morire completamente i progetti di conciliazione per mancanza di risorse.
Emma Poli – Confindustria di Modena
Ringrazio di questa opportunità. La figura del caregiver è ormai una figura di grande rilievo sociale, perché presta assistenza gratuitamente e volontariamente ad una persona cara nel tentativo di conciliare questa attività di cura con quella lavorativa. Il dovere di conciliazione non è solo dell’azienda ma anche del territorio. Quali sono gli strumenti che un’azienda può mettere in atto per creare questa conciliazione? Sicuramente attivare piani di welfare è una possibilità. Quando un’azienda eroga i premi, eroga delle somme che sono potenzialmente detassabili e quindi aumentano la capacità di spesa del dipendente ma, cosa più importante, la legge consente alle aziende, per questi aumenti e miglioramenti di produzione ed efficienza (che sono requisiti indispensabili per la detassazione), di utilizzare delle leve tra cui la riorganizzazione dell’orario di lavoro e l’utilizzo del lavoro agile (la possibilità per il lavoratore di gestire delle fasi della propria attività lavorativa al di fuori dalla struttura aziendale e senza vincoli di orario). Una riorganizzazione che non può essere marginale altrimenti non sarebbe credibile. Sempre per normativa c’è la possibilità di erogare i premi come servizi, tra i quali (Art. 51 del Testo Unico) anche il servizio di assistenza alle persone bisognose, non autosufficienti e anche alle persone anziane.
Come Confindustria Emilia, approfittando dell’esperienza di Assolombarda che da diversi anni lavora sul tema, abbiamo attivato una piattaforma a favore delle nostre aziende associate il cui requisito innovativo è quello di permettere al lavoratore di usufruire dei servizi che lui stesso sceglie: non vengono imposte delle convenzioni con strutture che lui subisce, ma è lo stesso lavoratore che inserisce la struttura nella piattaforma. Questo sistema quindi si implementa continuamente di nuove strutture del territorio e, di conseguenza, restituisce ricchezza al territorio stesso. Per consentire di utilizzare questo sistema di welfare anche alle aziende prive di rappresentanza sindacale, Confindustria insieme a CGL, CSL e UIL hanno firmato un accordo territoriale (17.01.2017) che può essere utilizzato dalle aziende associate o anche quelle non associate ma che conferiscano espressamente mandato. Con questo accordo viene creato un comitato composto dai singoli rappresentanti dei firmatari, il cui compito è quello di verificare che l’accordo delle aziende prive di rappresentanza sindacale sia conforme alla normativa nazionale, e quindi un accordo in grado di dare premi di risultato, di essere detassabile e quindi anche convertibile in welfare.
Confindustria è dunque assolutamente favorevole ad un welfare che sia inclusivo, dinamico, partecipato e che coinvolga tutte le strutture economiche del territorio. Troviamo ancora qualche resistenza sul territorio e qualche barriera ideologica da parte del sindacato, ma speriamo che la situazione migliori. E vorremmo riuscire a superarla sfruttando anche l’esempio del recente rinnovamento del contratto collettivo della metal meccanica che è il nostro contratto di riferimento per numero di aderenti a livello nazionale e per tessuto associativo a livello locale. Il nostro monito è: facciamo cultura di welfare a tutti i livelli. Vorremmo che gli investimenti che fanno le aziende per attivare piani di welfare, sia economici che organizzativi, non siano vanificati e che tutti possano beneficiarne.
Come Confindustria Emilia, approfittando dell’esperienza di Assolombarda che da diversi anni lavora sul tema, abbiamo attivato una piattaforma a favore delle nostre aziende associate il cui requisito innovativo è quello di permettere al lavoratore di usufruire dei servizi che lui stesso sceglie: non vengono imposte delle convenzioni con strutture che lui subisce, ma è lo stesso lavoratore che inserisce la struttura nella piattaforma. Questo sistema quindi si implementa continuamente di nuove strutture del territorio e, di conseguenza, restituisce ricchezza al territorio stesso. Per consentire di utilizzare questo sistema di welfare anche alle aziende prive di rappresentanza sindacale, Confindustria insieme a CGL, CSL e UIL hanno firmato un accordo territoriale (17.01.2017) che può essere utilizzato dalle aziende associate o anche quelle non associate ma che conferiscano espressamente mandato. Con questo accordo viene creato un comitato composto dai singoli rappresentanti dei firmatari, il cui compito è quello di verificare che l’accordo delle aziende prive di rappresentanza sindacale sia conforme alla normativa nazionale, e quindi un accordo in grado di dare premi di risultato, di essere detassabile e quindi anche convertibile in welfare.
Confindustria è dunque assolutamente favorevole ad un welfare che sia inclusivo, dinamico, partecipato e che coinvolga tutte le strutture economiche del territorio. Troviamo ancora qualche resistenza sul territorio e qualche barriera ideologica da parte del sindacato, ma speriamo che la situazione migliori. E vorremmo riuscire a superarla sfruttando anche l’esempio del recente rinnovamento del contratto collettivo della metal meccanica che è il nostro contratto di riferimento per numero di aderenti a livello nazionale e per tessuto associativo a livello locale. Il nostro monito è: facciamo cultura di welfare a tutti i livelli. Vorremmo che gli investimenti che fanno le aziende per attivare piani di welfare, sia economici che organizzativi, non siano vanificati e che tutti possano beneficiarne.
Alberto Bellelli Sindaco di Carpi
Parto da un dato, alcuni giorni fa ci hanno detto come sarà il nostro paese nel 2040 e nel 2065 in termini di evoluzione demografica. Come programmatore pubblico, quel dato è un cambiamento talmente grande nella composizione della nostra società che adesso parlare di welfare aziendale e di forme integrative non è opzionabile, è obbligatorio. Si tratta di un cambio di paradigma dei consumi, delle esigenze e delle necessità. Non abbiamo ancora capito il reale impatto di tutto questo. Non possiamo permetterci di rimanere alle buone pratiche, dobbiamo immaginarci qualcosa di più. Le contrattazioni di secondo livello sono importanti, ma prima è importante organizzare il campo. Fare l’appello: chi c’è? Chi dice presente, ho capito cosa sta succedendo in questo paese? Io avrei bisogno di Confindustria che elabori una ricerca e dica come cambieranno i consumi nel 2065, avrei bisogno dei sindacati che elaborino una ricerca e dicano come cambierà il bisogno di welfare in traiettoria, ho bisogno che la cooperazione dica come cambieranno i consumi e come pensa di riassettare le proprie linee di business, i propri investimenti. Ho bisogno di questa analisi affinchè noi facciamo la buona parte. Per ora facciamo solo la buona pratica che è importante, è un esempio, ma che non ci fa capire quanto ha risolto del problema complessivo. E’ indispensabile che a monte ci sia un patto: abbiamo capito cosa sta per succedere. Stiamo cercando di dirlo non solo a livello regionale ma anche nazionale, visto che c’è un iter di legge in atto. Sappiamo cosa accadrà, diamo un diritto di cittadinanza al caregiver, lo inseriamo all’interno dei servizi oggi organizzati dal pubblico e coordinati col dialogo della forze sociali a livello locale, prendiamo atto che la parte di programmazione oggi rischia di essere residuale, non tanto per i tagli o altro ma perché ci sono delle calcificazioni nella programmazione. Siamo in Emilia Romagna il fondo regionale per la non autosufficienza più corposo di questo paese solo che gran parte di questo è inchiodato sulla gestione della fornitura di servizi e la parte che invece sarebbe innovativa è residuale. Quindi diamo cittadinanza al caregiver all’interno dei servizi (prendiamo atto anche del burn out e dei vari cambiamenti), diamo cittadinanza al caregiver all’interno dell’organizzazione e definizione dei servizi, ma abbiamo bisogno che quel tavolo prenda atto che c’è anche una curva dell’invecchiamento molto vicina che non permetterà più una sostenibilità più complessiva del sistema e che le soluzioni da mettere in campo sono soluzioni che vanno dal livello nazionale a quello locale declinate. Una piccola impresa oggi non sarebbe intercettabile parlando di welfare aziendale, perché non si sentirebbe rappresentata, però di fronte ad un campo organizzato in un certo modo, di fronte ad un tavolo che gli propone un progetto fisico al quale può aderire, come ad es. la possibilità di dare una risposta in emergenza al dipendente quando il padre si ammala e altrimenti dovrebbe rimanere a casa da lavorare. Se questo può essere definito da 20 piccole imprese che si consorziano su questa cosa e danno da lavorare a 5 operatori assunti a tempo pieno. Se si riesce a fare una cosa simile significa che siamo riusciti a riorganizzare un pezzo della produzione dei servizi.
Per finire, l’istituzione, a livello locale, dice “presente”. Ho anche detto di cosa avrei bisogno, di maggiori elementi, di approfondimenti. E di fronte a questo iniziare a fare proposte, non solo in chiave sperimentale, ma anche in chiave di contrattazione di secondo livello dove ci sia equità, non sostituzione del welfare pubblico ma anche integrazione del welfare pubblico, il concetto distributivo che sta alla base del welfare pubblico e della base solidaristica, e dopo si và, certo a livello locale. Ma se non abbiamo quegli approfondimenti, diciamo di essere consapevoli ma in realtà non lo siamo fino in fondo.
Andrea Benini : Portavoce Alleanza Cooperative Italiane, Modena
Grazie a Federico e Loredana che su questi temi sono stati dei pionieri. Parlerò di alcuni aspetti che riguardano il mondo cooperativo.
Il tema impatta su vari aspetti del cooperativismo, 4 in particolare: la dimensione dei soci, la dimensione della cooperazione sociale, la dimensione delle mutue e infine la dimensione assicurativa.
Parto dai soci, divisi nelle due categorie soci consumatori e soci lavoratori (nella provincia. di Modena circa 300.000 persone). Secondo l’osservatorio Coop, c’è stato uno spostamento nelle preferenze dei consumatori: una richiesta di aumento della componente di servizio commerciale rispetto a quello, ad esempio, della localizzazione commerciale della quantità dei beni. Questo significa che nelle grandi città si stiano sperimentando servizi innovativi, servizi di consegna a domicilio in un orario specifico e sicuro ( “sapere” chi porta la spesa a casa). Il secondo tema è l’investimento sulla rete commerciale che presuppone una maggiore difficoltà di mobilità.
Parallelamente il tema dei soci lavoratori, buona parte di loro si trovano oltre ad avere un percorso lavorativo più lungo ad essere anche caregiver e quindi chiedono alla loro cooperativa una doppia forma di tutela: quella classica mutualistica insieme alla richiesta di maggiore flessibilità per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro che non prevedono solo la cura per l’infanzia ma anche per anziani e persone fragili. In alcune sperimentazioni specifiche in termini di contratti aziendali abbiamo iniziato a ragionare su questi temi: affiancando al completamento dalla materni/paternità altri strumenti che invece permettono al figlio di assistere il genitore.
Ci siamo resi conto che rispondere a questi tipi di esigenze del socio lavoratore consente di avere margini di performance e questa è una dimensione che in termini di welfare aziendale non viene sempre considerata.
L’ultima richiesta è la possibilità di avere questi benefici non per un periodo di tempo limitato ma nel lungo periodo. Quindi flessibilità e sicurezza del posto di lavoro.
Il secondo tema è quello della cooperazione sociale, in particolare quella che produce servizi. Contemporaneamente le cooperative sono impegnate a innovare e rendere maggiormente flessibile la risposta nei servizi, in particolare quelli che stiamo tentando di mantenere con le risorse regionali e locali, ma anche di flessibilizzare e rendere più compatibili con le evoluzioni legate all’attività di cura. Il primo livello è quello di introdurre nuovo elementi che sappiano rispondere al nuovo scenario, il secondo è di andare in complementarietà con il servizio pubblico inventando e creando servizi che possano rispondere alle nuove esigenze. Un esempio modenese è Famiglia360.
Il terzo elemento di riflessione sono le mutue. A Modena abbiamo l’esperienza della SMA. Non stiamo dicendo che sono ritornate le condizioni precedenti allo sviluppo del welfare statale, stiamo dicendo che però riceviamo dai cittadini la richiesta di ricevere una risposta mutualistica, quindi di ricevere un risposta per sé stessi e per le proprie esigenze anche nella forma delle mutue. Quindi le persone stanno iniziando a pensare che oltre al pilastro pubblico e oltre al welfare aziendale, ci sia un’altra possibilità autorganizzata. Quindi stiamo investendo in una mutua regionale.
Quarto e ultimo aspetto è quello assicurativo. Stiamo avendo una crescente richiesta di due forme di protezione assicurativa che originariamente erano meno rappresentate: le polizze vita (da affiancare alla pensione) e la protezione sanitaria aggiuntiva. A questo fine Unipol ha sviluppato una nuova area che si chiama Unisalute. In alcuni casi anche con i sindacati si è provato a ipotizzare di inserire polizze di copertura sanitaria aggiuntiva all’interno di alcune forme contrattuali, su grande richiesta delle persone.
Concludo con uno degli elementi di criticità: la compatibilità economica di questi servizi con la reale disponibilità delle persone a pagarli. Sia nel caso degli ambulatori tipo Famiglia360 sia nel caso delle polizze, vediamo che la compatibilità economica è di difficilissimo raggiungimento.
Credo che l’ipotesi di lavorare insieme ai sindacati su degli accordi territoriali che prevedono avanzamenti in questo campo sia vista positivamente dalla cooperazione: siamo disposti a lavorarci. Siamo anche disponibili al tavolo di cui parlava il sindaco.
Credo che ci sia anche la possibilità di sviluppare occasioni di lavoro: tutti sanno che un altro grande problema è la progressiva riduzione della civiltà del lavoro con la progressiva evoluzione della tecnologia. E sappiamo anche che uno dei pochissimi campi in cui si continuerà a produrre lavoro è quello della cura alla persona.
Per finire, l’istituzione, a livello locale, dice “presente”. Ho anche detto di cosa avrei bisogno, di maggiori elementi, di approfondimenti. E di fronte a questo iniziare a fare proposte, non solo in chiave sperimentale, ma anche in chiave di contrattazione di secondo livello dove ci sia equità, non sostituzione del welfare pubblico ma anche integrazione del welfare pubblico, il concetto distributivo che sta alla base del welfare pubblico e della base solidaristica, e dopo si và, certo a livello locale. Ma se non abbiamo quegli approfondimenti, diciamo di essere consapevoli ma in realtà non lo siamo fino in fondo.
Andrea Benini : Portavoce Alleanza Cooperative Italiane, Modena
Grazie a Federico e Loredana che su questi temi sono stati dei pionieri. Parlerò di alcuni aspetti che riguardano il mondo cooperativo.
Il tema impatta su vari aspetti del cooperativismo, 4 in particolare: la dimensione dei soci, la dimensione della cooperazione sociale, la dimensione delle mutue e infine la dimensione assicurativa.
Parto dai soci, divisi nelle due categorie soci consumatori e soci lavoratori (nella provincia. di Modena circa 300.000 persone). Secondo l’osservatorio Coop, c’è stato uno spostamento nelle preferenze dei consumatori: una richiesta di aumento della componente di servizio commerciale rispetto a quello, ad esempio, della localizzazione commerciale della quantità dei beni. Questo significa che nelle grandi città si stiano sperimentando servizi innovativi, servizi di consegna a domicilio in un orario specifico e sicuro ( “sapere” chi porta la spesa a casa). Il secondo tema è l’investimento sulla rete commerciale che presuppone una maggiore difficoltà di mobilità.
Parallelamente il tema dei soci lavoratori, buona parte di loro si trovano oltre ad avere un percorso lavorativo più lungo ad essere anche caregiver e quindi chiedono alla loro cooperativa una doppia forma di tutela: quella classica mutualistica insieme alla richiesta di maggiore flessibilità per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro che non prevedono solo la cura per l’infanzia ma anche per anziani e persone fragili. In alcune sperimentazioni specifiche in termini di contratti aziendali abbiamo iniziato a ragionare su questi temi: affiancando al completamento dalla materni/paternità altri strumenti che invece permettono al figlio di assistere il genitore.
Ci siamo resi conto che rispondere a questi tipi di esigenze del socio lavoratore consente di avere margini di performance e questa è una dimensione che in termini di welfare aziendale non viene sempre considerata.
L’ultima richiesta è la possibilità di avere questi benefici non per un periodo di tempo limitato ma nel lungo periodo. Quindi flessibilità e sicurezza del posto di lavoro.
Il secondo tema è quello della cooperazione sociale, in particolare quella che produce servizi. Contemporaneamente le cooperative sono impegnate a innovare e rendere maggiormente flessibile la risposta nei servizi, in particolare quelli che stiamo tentando di mantenere con le risorse regionali e locali, ma anche di flessibilizzare e rendere più compatibili con le evoluzioni legate all’attività di cura. Il primo livello è quello di introdurre nuovo elementi che sappiano rispondere al nuovo scenario, il secondo è di andare in complementarietà con il servizio pubblico inventando e creando servizi che possano rispondere alle nuove esigenze. Un esempio modenese è Famiglia360.
Il terzo elemento di riflessione sono le mutue. A Modena abbiamo l’esperienza della SMA. Non stiamo dicendo che sono ritornate le condizioni precedenti allo sviluppo del welfare statale, stiamo dicendo che però riceviamo dai cittadini la richiesta di ricevere una risposta mutualistica, quindi di ricevere un risposta per sé stessi e per le proprie esigenze anche nella forma delle mutue. Quindi le persone stanno iniziando a pensare che oltre al pilastro pubblico e oltre al welfare aziendale, ci sia un’altra possibilità autorganizzata. Quindi stiamo investendo in una mutua regionale.
Quarto e ultimo aspetto è quello assicurativo. Stiamo avendo una crescente richiesta di due forme di protezione assicurativa che originariamente erano meno rappresentate: le polizze vita (da affiancare alla pensione) e la protezione sanitaria aggiuntiva. A questo fine Unipol ha sviluppato una nuova area che si chiama Unisalute. In alcuni casi anche con i sindacati si è provato a ipotizzare di inserire polizze di copertura sanitaria aggiuntiva all’interno di alcune forme contrattuali, su grande richiesta delle persone.
Concludo con uno degli elementi di criticità: la compatibilità economica di questi servizi con la reale disponibilità delle persone a pagarli. Sia nel caso degli ambulatori tipo Famiglia360 sia nel caso delle polizze, vediamo che la compatibilità economica è di difficilissimo raggiungimento.
Credo che l’ipotesi di lavorare insieme ai sindacati su degli accordi territoriali che prevedono avanzamenti in questo campo sia vista positivamente dalla cooperazione: siamo disposti a lavorarci. Siamo anche disponibili al tavolo di cui parlava il sindaco.
Credo che ci sia anche la possibilità di sviluppare occasioni di lavoro: tutti sanno che un altro grande problema è la progressiva riduzione della civiltà del lavoro con la progressiva evoluzione della tecnologia. E sappiamo anche che uno dei pochissimi campi in cui si continuerà a produrre lavoro è quello della cura alla persona.
Riccardo Breviglieri, Coordinatore Forum Terzo Settore
Vi ringrazio dell’invito. Sul tema del welfare in questi anni ho visto cavalcare tante questioni che diventano famose per qualche anno, non sedimentano e poi vengono sostituite da qualcos’altro di più prioritario. Questo è il momento del welfare. Non entro nel merito del chi ma del come, perché su questo vorrei poterci ragionare. Collegare una parte troppo significativa del futuro del welfare all’elemento aziendale non è da sottovalutare, perché il terzo elemento di sviluppo al 2065 si chiama occupazione, dopo anziani e immigrazione. Quindi collegare troppo lo status sociale di diritto alla questione del lavoro, implica il fatto che nel momento in cui io perdo il lavoro io perdo anche una serie di diritti che, essendo collegati al lavoro, non sono acquisiti, non sono universali.
Mi piacerebbe un ragionamento che invece, pur rendendomi conto della difficoltà, dove il welfare aziendale è dentro quello territoriale.
Se non si sboccano i pezzi dove stanno realmente le risorse nazionali del sostegno sul sociale, capisco che a livello regionale più del fondo dell’autosufficienza o dell’impegno dei comuni si fa fatica a fare.
Rimanendo sul come, è importante affrontare tutti i pezzi delle possibilità che ci sono, con le nuove leggi, che andrebbero meglio orientate: definire quali attività meritano il welfare aziendale, una distinzione più chiara. Se una delle due grosse municipalizzate di questa regione, senza fare nomi, fa i voucher aziendali per i corsi di nuoto e il giorno seguente riduce l’utilizzo delle cooperative sociali di tipo B per il reinserimento lavorativo dei disabili, la questione diventa complicata da seguire.
Nel terzo settore, quello più di carattere associativo che si frequenta per le questioni anche più semplici, quello che riguarda le questioni assistenziali ma anche il tempo libero, la cultura del bisogno e delle esigenze delle persone che assistono non molto presente. Ci sono gli interventi per chi sta male ma non per chi si prende cura. Si fa fatica a capire che quel servizio che si fa per gli anziani o i disabili può diventare anche un’occasione rispetto al caregiver. Su questo bisognerebbe pensare azioni pilota per sensibilizzare. Un esempio banale: l’associazione di comuni della bassa modenese sviluppa una grande attività a supporto dei disabili per fare attività motoria in acqua, non c’è mai venuto in mente che quell’attività poteva essere un’occasione non solo per i ragazzi nuotatori disabili ma anche i loro accompagnatori, spesso i famigliari, senza grandi costi aggiuntivi.
Mi piacerebbe un ragionamento che invece, pur rendendomi conto della difficoltà, dove il welfare aziendale è dentro quello territoriale.
Se non si sboccano i pezzi dove stanno realmente le risorse nazionali del sostegno sul sociale, capisco che a livello regionale più del fondo dell’autosufficienza o dell’impegno dei comuni si fa fatica a fare.
Rimanendo sul come, è importante affrontare tutti i pezzi delle possibilità che ci sono, con le nuove leggi, che andrebbero meglio orientate: definire quali attività meritano il welfare aziendale, una distinzione più chiara. Se una delle due grosse municipalizzate di questa regione, senza fare nomi, fa i voucher aziendali per i corsi di nuoto e il giorno seguente riduce l’utilizzo delle cooperative sociali di tipo B per il reinserimento lavorativo dei disabili, la questione diventa complicata da seguire.
Nel terzo settore, quello più di carattere associativo che si frequenta per le questioni anche più semplici, quello che riguarda le questioni assistenziali ma anche il tempo libero, la cultura del bisogno e delle esigenze delle persone che assistono non molto presente. Ci sono gli interventi per chi sta male ma non per chi si prende cura. Si fa fatica a capire che quel servizio che si fa per gli anziani o i disabili può diventare anche un’occasione rispetto al caregiver. Su questo bisognerebbe pensare azioni pilota per sensibilizzare. Un esempio banale: l’associazione di comuni della bassa modenese sviluppa una grande attività a supporto dei disabili per fare attività motoria in acqua, non c’è mai venuto in mente che quell’attività poteva essere un’occasione non solo per i ragazzi nuotatori disabili ma anche i loro accompagnatori, spesso i famigliari, senza grandi costi aggiuntivi.
Lalla Golfarelli, Presidente di CARER
Parto dal piccolo. Tu Riccardo hai detto che facciamo fatica anche in questa regione a pensare che, anche con uno sforzo minimo, potremmo mettere nella nostra agenda, nel nostro fare, delle relazioni con i caregiver nelle azioni che portiamo avanti nei confronti di persone, ad esempio, con disabilità.
Le persone che si prendono cura di qualcun altro svolgono una funzione pubblica rilevantissima non la possiamo ammantare con nient’altro neanche con la magica parola “famiglia”!
Come presidente di Carer mi metto dal punto di vista della domanda verso la società. Abbiamo battuto il chiodo sulla relazione con le istituzioni, grazie anche alla mano che ci ha dato il forum del 3° settore. Essere caregiver ti mette nelle condizioni di essere una specie di polipo nel quale tutte le cose che fai sono tutte in difficoltà nel collegamento di una con l’altra, dal tuo viver bene al tuo lavorare. Al tempo stesso, in prospettiva, se hai 60 anni, pensi “io non voglio essere un peso, non voglio essere d’impiccio” perché essere caregiver significa riconoscere il rischio di pesare su un altro, il caregiver ha la consapevolezza umana, sa cosa significa e lo teme per gli altri. Questo è un passaggio difficile e doloroso ed è per questo che il tema del valore della cura deve diventare generalista.
Di fronte a questa complessità, dal punto di vista della domanda vediamo che la prima è quella della verità. Siamo in una situazione di grande mobilitazione, c’è un’apertura spot di moltissime porte: se si riuscirà a costruire un contesto positivo e consapevole produrrà forse un puzzle di interventi – e un puzzle è positivo perché crea un’immagine unica – altrimenti può venir fuori un minestrone mal riuscito.
Noi questo problema lo abbiamo ben presente e non possiamo non nominare i fondi sanitari, perché il tema del rigore e dell’evitare gli sprechi parte dal conoscere esattamente come vengono spesi i denari di tutti e cosa rischia di far mettere in difficoltà quello che io chiamo “il puzzle”. I fondi sanitari possono andare benissimo purché ricadano dentro ad uno schema. Come diceva Bellelli, dobbiamo “costruire il campo”, io dico “definire il contesto”. Se vogliamo dire la verità sul contesto noi dobbiamo dirci cosa si spende e si produce dal punto di vista della domanda, e chi può spendere e produrre domanda a seconda dei diversi strumenti, per capire quanti raddoppi, e quindi sprechi, ci sono e capire che cosa dobbiamo completare. Noi abbiamo bisogno di un riordino serio di tutti gli strumenti in campo. In una situazione demografica di questo tipo, che non consente lo spreco, non possiamo più giocare sulla parola “integratività”, perché noi caregiver siamo fuori da tutti quegli strumenti e siamo fuori perché quelle formule non ci ricomprendono.
Invece la formula attuale del welfare aziendale ci comprende, magari non per tutto, ma nel nostro pezzetto di “polipo” che lavora. Allora il “polipo che lavora” nel 30% delle aziende che fanno le contrattazioni di secondo livello potrebbe trovare risposte significative che potrebbero essere messe in rete col resto del sistema solo se si lavorasse in modo accorto. Ed è importante che i vantaggi del welfare aziendale siano chiari, resi pubblici e condivisi: quelli strutturali, quelli individuali e quelli di natura derivata (fiscali).
Se in un contesto come l’E.R., che dal punto di vista della relazione con le istituzioni ancora tiene, si mettesse in moto un meccanismo per cui si capisce chi ha che cosa (il dipendenti di quelle “X” aziende hanno questo), se la regione, e anche i comuni grandi, si mette a lavorare per costruire reti insieme alle imprese più piccole, secondo me si può fare molta strada per arrivare un po’ più vicini a un welfare che riguardi i lavoratori, ma che possa servire a quel pezzo di welfare che riguarda chi non lavora.
E’ importante spremere fino in fondo il tema dei benefici fiscali, anche per i non lavoratori, soprattutto per le funzioni domiciliari.
Credo che ogni intervento di welfare aziendale di supporto vada bene, ma si deve fare un lavoro di ripresa della possibilità di una domanda anche privata ma fortemente defiscalizzata, a prescindere dal lavoro o non lavoro, con modalità iper semplificata. Questo avrebbe delle implicazioni sia per aumentare il lavoro, sia per impedire l’uscita dal lavoro, sia per aumentare l’utilizzo di servizi. Ecco anche perché apprezzo questo percorso del welfare aziendale, perché cambia denaro per servizi, mentre in Italia da sempre si cambia servizi per denaro.
Le persone che si prendono cura di qualcun altro svolgono una funzione pubblica rilevantissima non la possiamo ammantare con nient’altro neanche con la magica parola “famiglia”!
Come presidente di Carer mi metto dal punto di vista della domanda verso la società. Abbiamo battuto il chiodo sulla relazione con le istituzioni, grazie anche alla mano che ci ha dato il forum del 3° settore. Essere caregiver ti mette nelle condizioni di essere una specie di polipo nel quale tutte le cose che fai sono tutte in difficoltà nel collegamento di una con l’altra, dal tuo viver bene al tuo lavorare. Al tempo stesso, in prospettiva, se hai 60 anni, pensi “io non voglio essere un peso, non voglio essere d’impiccio” perché essere caregiver significa riconoscere il rischio di pesare su un altro, il caregiver ha la consapevolezza umana, sa cosa significa e lo teme per gli altri. Questo è un passaggio difficile e doloroso ed è per questo che il tema del valore della cura deve diventare generalista.
Di fronte a questa complessità, dal punto di vista della domanda vediamo che la prima è quella della verità. Siamo in una situazione di grande mobilitazione, c’è un’apertura spot di moltissime porte: se si riuscirà a costruire un contesto positivo e consapevole produrrà forse un puzzle di interventi – e un puzzle è positivo perché crea un’immagine unica – altrimenti può venir fuori un minestrone mal riuscito.
Noi questo problema lo abbiamo ben presente e non possiamo non nominare i fondi sanitari, perché il tema del rigore e dell’evitare gli sprechi parte dal conoscere esattamente come vengono spesi i denari di tutti e cosa rischia di far mettere in difficoltà quello che io chiamo “il puzzle”. I fondi sanitari possono andare benissimo purché ricadano dentro ad uno schema. Come diceva Bellelli, dobbiamo “costruire il campo”, io dico “definire il contesto”. Se vogliamo dire la verità sul contesto noi dobbiamo dirci cosa si spende e si produce dal punto di vista della domanda, e chi può spendere e produrre domanda a seconda dei diversi strumenti, per capire quanti raddoppi, e quindi sprechi, ci sono e capire che cosa dobbiamo completare. Noi abbiamo bisogno di un riordino serio di tutti gli strumenti in campo. In una situazione demografica di questo tipo, che non consente lo spreco, non possiamo più giocare sulla parola “integratività”, perché noi caregiver siamo fuori da tutti quegli strumenti e siamo fuori perché quelle formule non ci ricomprendono.
Invece la formula attuale del welfare aziendale ci comprende, magari non per tutto, ma nel nostro pezzetto di “polipo” che lavora. Allora il “polipo che lavora” nel 30% delle aziende che fanno le contrattazioni di secondo livello potrebbe trovare risposte significative che potrebbero essere messe in rete col resto del sistema solo se si lavorasse in modo accorto. Ed è importante che i vantaggi del welfare aziendale siano chiari, resi pubblici e condivisi: quelli strutturali, quelli individuali e quelli di natura derivata (fiscali).
Se in un contesto come l’E.R., che dal punto di vista della relazione con le istituzioni ancora tiene, si mettesse in moto un meccanismo per cui si capisce chi ha che cosa (il dipendenti di quelle “X” aziende hanno questo), se la regione, e anche i comuni grandi, si mette a lavorare per costruire reti insieme alle imprese più piccole, secondo me si può fare molta strada per arrivare un po’ più vicini a un welfare che riguardi i lavoratori, ma che possa servire a quel pezzo di welfare che riguarda chi non lavora.
E’ importante spremere fino in fondo il tema dei benefici fiscali, anche per i non lavoratori, soprattutto per le funzioni domiciliari.
Credo che ogni intervento di welfare aziendale di supporto vada bene, ma si deve fare un lavoro di ripresa della possibilità di una domanda anche privata ma fortemente defiscalizzata, a prescindere dal lavoro o non lavoro, con modalità iper semplificata. Questo avrebbe delle implicazioni sia per aumentare il lavoro, sia per impedire l’uscita dal lavoro, sia per aumentare l’utilizzo di servizi. Ecco anche perché apprezzo questo percorso del welfare aziendale, perché cambia denaro per servizi, mentre in Italia da sempre si cambia servizi per denaro.
Le riprese del convegno
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